Mi sono unita al team archeologico a Tell Mozan quando avevo 19 anni, al secondo anno di università. Dal 2006 ho fatto in modo di non perdere nessuna stagione di scavo, fino a quando mi sono trasferita in Italia per iniziare il mio dottorato di ricerca.
Da giovane archeologa, è stato emozionante conoscere i metodi e le tecniche di scavo in un ambiente professionale, comune in molte missioni archeologiche operative in Siria. Tuttavia, ciò che non era così comune era la dimensione sociale dell'archeologia offerta a Mozan.
Durante lo scavo ho notato come gli operai locali fossero quotidianamente coinvolti nelle competenze archeologiche, e come venisse loro richiesto di riflettere su ciascuna nuova scoperta. Ogni settimana durante la stagione di scavo i direttori della missione facevano una lezione per aggiornare gli operai locali sulla strategia e sui risultati dello scavo in quella settimana. E loro, gli operai locali, erano evidentemente orgogliosi delle competenze acquisite, al punto che chi si trovava a visitare Tell Mozan al di fuori del periodo di scavo veniva spesso accolto dalla gente del posto, felice di mostrare il sito e raccontare la storia di Urkesh: una simile situazione non accade con molta frequenza in Siria.
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Grazie al sistema di presentazione del sito il numero di visitatori siriani, provenienti dalle città vicine, è aumentato nel corso del tempo. Anche a me è stato chiesto di guidare alcuni di loro nella loro visita all'antico sito. Per me è stato impressionante vedere l'impatto di trenta minuti di visita attraverso gli occhi dei visitatori, le domande e il desiderio che nascevano in loro, di conoscere il sito e di appartenere ad esso in modi diversi. Erano curiosi di sapere: gli antichi Hurriti usavano i loro stessi metodi di agricoltura? Consumavano gli stessi pasti? Quale religione seguivano? Appartenevano alla stessa stirpe dei siriani moderni? Ricordo come fissavano i volti antichi, cercavando di trovare somiglianze con i loro amici e parenti... |
Nel 2009 i direttori del sito di Tell Mozan hanno proposto di creare un parco eco-archeologico, per rafforzare il rapporto tra le comunità locali e i siti archeologici della regione e per portare benefici economici diretti all'intera area. Il parco prevedeva molte attività volte a migliorare e ampliare le capacità produttive della popolazione locale; una delle attività previste consisteva in un aiuto concreto alle donne locali, contribuendo a migliorare le loro capacità di realizzare oggetti tradizionali fatti a mano. Le donne hanno ricevuto una formazione per alcuni mesi, offerta da un team proveniente da Damasco, ma poi, a causa della guerra, il team non ha potuto tornare e loro hanno dovuto gestire da sole il progetto dell'atelier. Per quasi un anno, donne provenienti da etnie diverse, si sono organizzate insieme secondo un programma ben organizzato, e hanno dato forma a diversi oggetti a cui applicavano il logo del loro 'Urkesh Gate Atelier'.
Su richiesta di Giorgio Buccellati e Marilyn Kelly Kelly Buccellati, ho mantenuto i contatti con le donne coinvolte nel progetto, per offrire loro il nostro sostegno. Per tutti noi è stato bello osservare la loro determinazione, vederle continuare a lavorare e produrre per il loro presente e futuro, nonostante il conflitto siriano. Tuttavia, nel corso del tempo molte donne qualificate hanno lasciato i loro villaggi per sfuggire alla difficile situazione sociale ed economica creata dalla guerra. Per non perdere le competenze acquisite, abbiamo dunque pensato di creare una "scuola" in cui alcune donne più esperte avrebbero trasmesso le loro competenze alle nuove generazioni. Io ero in contatto con Amira, proveniente dal villaggio di Umm El-Rabi, un pilastro importante dell'intero progetto 'Urkesh Gate': leri si è dimostrata entusiasta dell'idea e in meno di un mese un nuovo gruppo di trenta donne era pronto ad iniziare ad imparare. Noi abbiamo offerto loro i materiali (lana, aghi, aghi, ecc.), una sede e l'insegnante (Amira), in modo che la scuola di 'Urkesh Gate' potesse avere inizio. Nel giro di pochi mesi, poi, abbiamo ricevuto i loro oggetti. Le donne stesse hanno iniziato la loro produzione autonoma, e sono state creative anche nel trovare canali locali per poter vendere i loro prodotti.
Nel 2012 ho iniziato il mio dottorato di ricerca presso l'Università di Firenze. La mia ricerca è nata come riflesso naturale della mia esperienza in archeologia in generale e in Mozan in particolare, consistendo in uno studio di cosa può fare l'archeologia in ambito accademico per costruire società inclusive e di come gli archeologi possono partecipare per colmare il divario tra la popolazione locale e i siti archeologici.
La mia ricerca ha analizzato le ragioni storiche, sociali e politiche alla base del divario tra la popolazione locale e il patrimonio culturale in Siria (come in molti altri paesi del Medio Oriente). Ho analizzato la percezione degli abitanti nei confronti dei musei e dell'archeologia, attraverso un metodo quantitativo. Mi sono anche focalizzata sulla sostenibilità di vari casi di studio in Medio Oriente in cui i locali sono stati direttamente coinvolti, e sulle conseguenze di tali attività sulla protezione dei monumenti e dei siti vicini.
L'atelier delle donne ha presentato un esempio di come gli abitanti del luogo percepivano il valore del sito archeologico attraverso le attività ad esso collegate, nonostante la loro diversità etnica. La conoscenza storica che l'équipe di scavo ha promosso nel corso degli anni è stata presente nella mente degli abitanti del luogo durante tutto il conflitto, e ha portato a una collaborazione attiva su molti livelli, a partire dalla produzione di oggetti tradizionali fino alla protezione materiale del sito, anche quando l'ISIS era alle porte. I locali erano davvero convinti che il sito archeologico e tutte le attività ad esso correlate appartenessero a loro, ed erano ansiosi di fare tutto il necessario per tenerlo al sicuro.
Il conflitto in Siria ha dimostrato che non possiamo permetterci di non coinvolgere le comunità locali. Ora capiamo che coinvolgere i locali nel Vicino Oriente non dovrebbe essere un qualcosa di facoltativo per gli archeologi, bensì una seria necessità per proteggere il patrimonio in tempo di guerra o in caso di un qualsiasi altro tipo di crisi. L'esempio di Tell Mozan ha dimostrato come una l'archeologia può essere davvero collaborativa attraverso un processo a lungo termine, che consideri i locali come i principali consumatori delle conoscenze che il sito archeologico produce, un fatto molto importante da tenere a mente quando si lavora nella regione.