L'archeologia è, sì, analisi stratigrafica, attraverso lo scavo, della cultura materiale rimasta celata nella terra. Ma archeologia è anche inferenza, un sistema deduttivo attraverso il quale si cerca di identificare nuovamente la natura di tradizioni culturali che si sono interrotte.
Il compito dell'archeologia è documentare ciò che è nel terreno, e il modo in cui esso si relaziona con ciò che lo circonda. La terra cela e protegge tutto allo stesso tempo. Deve essere perciò rimossa, ma lo stesso processo di rimozione deve essere accuratamente documentato – non solo lo scavato, ma anche ciò che dalla terra deriva.
Le rovine culturali dissotterrate dall'archeologo sono sepolte non solo fisicamente ma anche metaforicamente. Esse sono separate dal nostro tempo dalla copertura fisica del loro stesso collasso e dagli accumuli che ne derivano; ma sono anche separati dalla nostra comprensione immediata dalla grande frattura causata da un intervallo temporale che ha interrotto la continuità diretta.
Proprio come ci sono "lingue morte", quindi ci sono anche "culture morte" – non perché non sono mai vissute, ma semplicemente perché nessuna persona vivente possiede, oggi, la competenza linguistica o culturale per descriverle. Solo
l'archeologo ha gli strumenti per recuperare il significato originale dei documenti conservatisi in un simile contesto, riconoscendo loro la dignità e l'importanza che meritano.